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Shark invasion

La traduzione letterale sarebbe "squali furiosi", e in alcune edizioni è stato tradotto così. In altre no. Che casino.

La traduzione letterale sarebbe “squali furiosi”, e in alcune edizioni è stato tradotto così. In altre no. Che casino.

[Krocodylus, Nehovistecose]

Di: Danny Lerner
Con: Corin Nemec, Vanessa Angel, Corbin Bernsen, Todd Jensen, Simona Levin

A volte ritornano. Danny Lerner è una nostra vecchia conoscenza dai tempi di Shark in Venice; in quella recensione, tra l’altro, avevamo sottolineato come il buon Danny fosse un fissato con gli squali e producesse il suo putridume grazie alla Nu Image, diretta da Avi Lerner, che presumiamo esserne il fratello. Shark invasion conferma i gusti bizzarri della famiglia Lerner.
La storia è un mischione orrendo di cose scollegate tra loro. Nel Triangolo delle Bermude (ma perchè? Che c’azzecca?) precipita un’astronave aliena, scontratasi con un’altra probabilmente per guida disattenta di qualcuno. Per cinque anni non succede una beata fava, finchè il protagonista, un clone di Bon Jovi, non decide di piazzare proprio lì la sua base sottomarina, grazie alla quale studia nonsicapiscecosa, comunque sono lui e dei colleghi che fanno di tutto tranne lavorare. Ovviamente a bordo c’è anche sua moglie, una signora con un decennio in più di lui che si lamenta per qualsiasi cosa ed è davvero irritante. Di colpo, gli squali del circondario vanno fuori di melone e attaccano la base isolandola, cioè mordendo due tubi che, staccandosi, condannano a morte i presenti. Ovviamente Bon Jovi e la moglie non ci stanno: insieme ad un ambiguo funzionario governativo, indagano sul motivo per cui gli squali hanno deciso di accoppare tutti. L’indagine è funestata da alcuni colpi di scena telefonatissimi: uno dei tecnici che si caga addosso e fugge con l’unico sottomarino (durando circa cinquanta metri prima di essere fatto a pezzi), gli attacchi dei feroci animali rubati direttamente alla National Geographic, il tradimento del funzionario governativo: questi si rivela un malvagio agente del Majestic-12, un man in black disposto a tutto pur di impadronirsi della tecnologia aliena che giace sul fondo dell’abisso. Tutta una serie di eventi incomprensibili e improbabili porta ad un ritorno degli alieni, che prelevano il cilindro che ha causato tutto questo casino, e all’incredibile salvataggio di Bon Jovi e di sua moglie, che sopravvivono all’esplosione della base e vengono accolti nel sommergibile semplicemente…bussando. Anche il cattivo sopravvive, ma essendo appunto il cattivo viene prontamente divorato dagli squali.
Tutte le guide cinematografiche e le schede su Internet confermano che Shark invasion è stato girato nel 2005. Sarà pure vero, ma non ci si crede: la fotografia sgranata della pellicola, così come i temi trattati, sembra uscita direttamente dal 1988. Lerner mischia nella sceneggiatura talmente tante cose che avrebbe potuto farci tre film, ma siccome lui è fissato con gli squali non ha voluto separare i generi. Non c’è neppure bisogno di parlare dell’assurdità della trama, ha talmente poco senso che sarebbe una perdita di tempo. La vena trashona di Lerner si esprime al meglio nelle singole scene: non c’è un solo momento in cui qualunque spettatore possa dire “oh, questo non me l’aspettavo”. L’interazione tra il cattivissimo agente del Majestic 12, che ovviamente è semi-immortale e uccide per diletto, e i due protagonisti regala sequenze memorabili: il povero Bon Jovi lo picchia, lo strozza, lo accoltella, lo fa esplodere, ma lui sopravvive sempre. Ovviamente invece di sparargli e chiudere la questione, il cattivone perde mezz’ora a parlare dei suoi piani e a deridere i suoi avversari, nonostante questo sia notoriamente un errore in certi film. Gli effetti speciali non sono neppure malaccio, e i filmati rubati ai documentari ben si integrano con il resto del film; la povertà si vede solo nelle scene di panico sul sottomarino o in spiaggi: le poche e svogliate comparse si gettano di qua e di là senza motivo, e in un paio di casi sembrano veramente dei tarantolati per i loro movimenti sconnessi.
Chiudiamo con un quesito inquietante: chi diamine ha scelto le attrici protagoniste? Sembrano tutte e tre rifarre o piene di botulino. Una in particolare ha dei labbroni davvero spaventosi. Sicuramente più spaventosi degli squali.

Produzione: USA, Bulgaria (2005)
Scena madre: il finale, la disinvoltura con cui le due testedicazzo bussano al sottomarino in pieno oceano senza attrezzature da sub e vengono fatti accomodare. Sublime.
Punto di forza: il tocco di assurdità della sceneggiatura che compensa anche i numerosi tempi morti.
Punto debole: con una simile storia si poteva fare molto meglio ed esagerare sugli effettacci. Purtroppo Lerner si mantiene entro limiti di vergogna appena accettabili.
Potresti apprezzare anche…: Shark in Venice.
Come trovarlo: comodamente in DVD; il retro di copertina è oltretutto pieno di errori di ortografia.

Un piccolo assaggio: 

(pare che tra i numerosi titoli ci sia pure Space sharks, tanto per non farci mancare nulla)

2

Sharknado

Chissà cos'altro tireranno fuori con la parola "shark"...

Chissà cos’altro tireranno fuori con la parola “shark”…

[Krocodylus, Satchmo]

Di: Anthony Ferrante
Con: Ian Ziering, John Heard, Tara Reid

Nell’anno di grazia 2013, la Asylum decide di fare sul serio e realizzare un film che racchiuda in sè tutta la sua essenza. E come si fa? Si prende un giovane regista (Anthony Ferrante) e si scrive una sceneggiatura che mischi tutti gli ingredienti che hanno reso grande la Asylum: disastri naturali, animali assassini, belle gnocche e trame da film-tv della domenica. Il risultato è Sharknado. Divenuto famosissimo grazie a una campagna virale su Internet, è stato da noi visionato con grande entusiasmo, al punto che le poche delusioni presenti sono probabilmente da attribuirsi alla grande aspettativa.
I personaggi principali sono tanto banali e prevedibili quando divertenti: il protagonista Fin (molto simile a Jimbo Wales, fondatore di Wikipedia) è un barista divorziato che tenta di ricucire con moglie (Tara Reid, sogno erotico dei maschi nati dal 1985 al 1995) e figli (che hanno la stessa età della madre, ma vabbè); Nova, una gnoccona anche lei barista con un conto in sospeso con gli squali; l’amico scemo di cui non ricordiamo il nome; l’attuale compagno-stronzo della ex moglie, che ovviamente muore dopo due minuti di apparizione e dopo aver sbeffeggiato la minaccia squalesca. La trama: sulle spiagge della California si scatena un violento tornado, che, in qualche modo, risucchia migliaia e migliaia di squali: la tempesta, capace di allagare Los Angeles in pochi minuti, semina morte e distruzione grazie soprattutto al contributo dei pescioni, in grado financo di muoversi, seppure lentamente, sulla terraferma. I nostri eroi partono verso l’entroterra per fuggire, ma a un certo punto si rendono conto che la soluzione migliore è affrontare il problema di petto (cosa che nè i soccorsi nè le autorità hanno gran voglia di fare, in verità non si vedono mai): la soluzione finale è quella di lanciare delle bombe nei tre tornado squalosi che minacciano Los Angeles: queste bombe, in base a principi logico-fisici quantomeno arbitrari, dovrebbero far dissolvere i vortici. A sganciare le bombe saranno Nova e il maturo figlio del protagonista, che rischierà la vita per salvare la città. Il lieto fine vede i protagonisti ammazzare gli ultimi squali nei modi più assurdi e festeggiare limonando e salvando dei vecchietti in una casa di riposo.
Per non ripeterci, tralasciamo i commenti sugli effetti speciali: squali posticci, sangue digitale eccetera. Il marchio di fabbrica della Asylum è quello, lo sappiamo. Decisamente interessante è invece il cast: quasi tutti gli attori sono relitti di serie tv di successo o di commedie anni ’90: Tara Reid, Ian Ziering e soprattutto John Heard, qui panzone e incredibilmente bolso, nei cuori di tutti per l’interpretazione di papà McAllister in Mamma ho perso l’aereo. Come sempre più spesso accade (ed è sempre un bene per la carica del film), le risate maggiori non vengono dagli effetti speciali, ma dall’incredibile sceneggiatura: si racconta che Thunder Levin, sceneggiatore, abbia accettato il soggetto definendolo “la cosa più assurda che abbia mai letto”. In genere la Asylum prende le leggi della fisica e le interpreta a modo proprio, qui invece se le inventano del tutto, e allora gli squali si adattano a vivere per ore in un tornado, il cielo cambia colore ad ogni inquadratura e basta un pò di pioggia per provocare un’alluvione. L’idea delle bombe (veramente assurda) nei tornado è forse la cosa più inverosimile mai inventata da questa banda di pazzi, anche perchè il lancio avviene alla bell’e meglio da un elicottero, da cui la figona Nova tira gli ordigni senza neppure guardare. L’uso di mazze da baseball, motoseghe e lame varie per combattere la minaccia degli squali è un tocco di classe aggiunto. I personaggi non sono minimamente credibili proprio perchè stereotipati: la famiglia che cerca di ricomporsi, il conflitto padre-figli (che si risolve parzialmente con il padre che si rimette con Tara Reid e il figlio che si assicura le grazie di Nova con un tacito accordo), la ragazza scontrosa con un triste passato. L’unica idea del tutto nuova è quella di applicare la logica dello zombi-movie a un film di disastri naturali. Concludiamo con un cenno alla vera attrattiva del film (oltre a Tara Reid e a Nova): lo sharknado, micidiale mix di fulmini, uragani e bestiacce. Niente da dire, è un’idea geniale, anche se forse avremmo preferito vederla più sviluppata e più presente. Da notare che a questo punto della verosimiglianza non importa un fico a nessuno, quindi se in una scena c’è un metro d’acqua sulle strade e nella successiva ce ne sono cinque centimetri non fa niente.
Quali sono le “delusioni” di cui si è parlato? E’ presto detto: blogger e critici si sono divisi tra il “capolavoro assoluto del trash, inarrivabile” e il “che delusione, non è abbastanza trash”. Tali dibattiti ci sembrano abbastanza sterili, ma una cosa è da sottolineare: contrariamente a quanto accade in quasi tutti i film della Asylum, molte trovate sono volutamente ridicole. E’ difficile distinguere il “comico involontario” da quello volontario: l’intenzione è chiaramente quella di fare un film esagerato e sopra le righe, quasi a celebrare i fasti della casa di produzione. Intendiamoci, noi ADORIAMO queste cose, e il film ci ha fatto ridere a crepapelle. Speriamo solo che la Asylum non tradisca lo spirito originario e non viri sul genere commedia abbandonando il mix trash vincente delle altre produzioni. Noi comunque ve lo consigliamo, è una pietra miliare!

Produzione: USA (2013)
Scena madre: lo scontro uomo con motosega VS squalo volante. No, non vi diciamo cos’è, guardatelo.
Punto di forza: c’è bisogno di specificare il “punto di forza” di un film che tratta di un tornado che trasporta squali assassini? Davvero c’è bisogno di farlo?
Punto debole: ne abbiamo parlato sul finire della recensione.
Potresti apprezzare anche…: Mega python VS Gatoroid, un’altra delle perle Asylum.
Come trovarlo: sul canale SyFy lo passano abbastanza spesso, insieme a molti altri film del genere. L’enorme successo ottenuto fa ben sperare per quanto riguarda una distribuzione in italiano.

Un piccolo assaggio: (un ottimo riassunto del film in pochi minuti, ovviamente in inglese)

4

Sand Sharks

Tremors grida vendetta!

Di: Mark Atkins
Con: Brooke Hogan, Corin Nemec, Gina Holden

Innanzitutto, ringraziamo l’amico Karinzio per averci fatto conoscere questa perla: una recensione è già stata fatta, molto meglio, da lui: ve la proponiamo nel link video in basso. Sand Sharks è un film straplagiato da mille altre pellicole sul tema degli squali assassini, ma con un elemento che lo rende unico nel suo genere. In una spiaggia dove si prepara una festa, alcuni squali sgranocchiano bagnanti e seminano il terrore. La loro particolarità? Questi squali nuotano nella sabbia, come dice il titolo. Cosa respirano? Di che si nutrono? Da dove arrivano? Queste sottigliezze sono lasciate alla fantasia dello spettatore. Va detto, però, che gli attori ce la mettono tutta per essere ancor più ridicoli dei pesciozzi digitali. I protagonisti sono uno sceriffo bolso, una biologa marina maggiorata e uno squalo (della finanza) che organizza il festone. Essendo i primi 45 minuti assolutamente banali, li riassumeremo in poche frasi: gli squali divorano della gente, lo sceriffo chiede di rimandare la festa, lo yuppie, che è anche il figlio del sindaco, rifiuta. Si accorgerà del fattaccio solo quando l’allegra famiglia di squali sabbiatici (si dirà così?) inizierà a banchettare con le bagnanti del luogo. A quel punto, interverrà un autentico cacciatore stereotipato, che aveva capito tutto fin dall’inizio ma non è in grado di fronteggiare la situazione: dopo aver fritto cinque-sei cuccioli e asfaltato la spiaggia (l’effetto speciale è veramente ignobile), lo squalo-mamma lungo 20 metri uscirà dal ventre roccioso di una montagna per fare giustizia. Il finale è qualcosa di epocale: rimangono vivi lo sceriffo, la biologa e il cazzone che ha organizzato la festa. Quest’ultimo si trasforma improvvisamente in un clone di Rambo e, in un momento di estremo eroismo, si fa mangiare dagli squali, peraltro inutilmente. La situazione sarà dunque risolta dai due insulsi protagonisti, che si troveranno felici, contenti e coperti di budella.
L’attrice protagonista, la bionda popputa senza cervello immancabile in questo tipo di pellicola, è la figlia di Hulk Hogan: con questa presenza, la burinata trash è assicurata. Degli altri attori, nessuno emerge in modo particolare per bravura, e neppure per forme fisiche (cosa in cui la figlia d’arte, invece, eccelle). A rubare la scena a chiunque sono però gli squali: non sappiamo quale droga si sia iniettato il regista per partorire un’idea tanto idiota, ma ogni apparizione delle bestiole è fonte di risate: disegnati con un pennello digitale da un addetto agli effetti speciali con poca voglia, questi superbi animali sono dotati di numerosi poteri: sfondano la roccia nella loro avanzata, la loro pelle resiste ai proiettili e la mancanza di ossigeno sotterranea gli fa un baffo. Insomma, sono come i mostri di Tremors ma più brutti. Trattandosi di un “beach movie” (ma anche un pò “bitch movie”) la spiaggia è popolata di maschi arrapati e poppute signorine che non fanno nulla per tutto il tempo, salvo ballare, sorridere e mostrare le proprie grazie. La polizia fa come sempre una pessima figura: a parte il fatto che toccano indizi e prove a mani nude, hanno meno personalità delle discinte signorine di cui parlavamo prima. Una delle poliziotte, tra l’altro, muore mangiata da uno squalo: la scena dello yuppie che cerca di riaggiustarne le budella è qualcosa di esilarante; seguirà una telefonata da Oscar dell’assurdo. In alcuni momenti si ha la vaga impressione che neppure il regista e la crew si prendano sul serio, tanta è la stupidità di qualche scena. L’importante è non pensarci troppo. Siete in cerca di tette al vento? Di animali ed effetti speciali ripugnanti? Di dialoghi al limite del pietismo? Sand Sharks è il film che fa per voi!

Produzione: USA (2011)
Scena madre: gli squali flambè e il cacciatore che asfalta la spiaggia. Senza prezzo.
Punto di forza: l’originalità dell’idea…no, ma dai, degli squali che nuotano nella sabbia…ma come gli vengono?
Punto debole: insomma, con un’idea del genere si poteva fare di meglio. O di peggio, a seconda dei punti di vista.
Potresti apprezzare anche…: l’immortale Shark in Venice.
Come trovarlo: in DVD, versione anglosassone. In fondo, i dialoghi non sono così importanti!

Un piccolo assaggio: (la geniale recensione del Karinzio!)

Shark in Venice

Ma dove s'è mai visto???

Di: Danny Lerner
Con: Stephen Baldwin, Vanessa Johansson, Hilda Van Der Muelen, Giacomo Gonnella

“you have seen il tesoro!”. Questo favoloso film è stato diretto da Danny Lerner. Lo avete mai sentito nominare? Improbabile. Sappiate solo che questo tizio ha una vera fissa con i mostri assassini: sentite qua la sua filmografia: Shark Zone, Squali furiosi, Shark in Venice. Esatto: tre film, tre squali. Non dimentichiamo inoltre che la casa di produzione che ha permesso tutto ciò, la Nu Image, diretta da Avi Lerner (quasi certa la parentela), è colpevole della creazione di tutta la serie Shark Attack, compreso dunque il terzo immondo capitolo, e di film come I mercenari, John Rambo, Sfida senza regole, accompagnati da roba come Megasnake, Snakeman, Metamorphosis, Rats (non quello di Mattei), Crocodile, Crocodile 2, Octopus, Octopus 2 e chi più ne ha più ne metta. Signore e signori, abbiamo trovato la nuova Asylum!

Detto questo, passiamo al film vero e proprio: Shark in Venice si presenta subito come un sottoprodotto del classico filone squalesco post-Spielberg. L’originalità della puerile sceneggiatura sta in due elementi che Lerner, sapientemente, inserisce un pò alla cazzo nella pellicola: l’ambientazione a Venezia e la mafia siciliana. Avete capito bene: lo squalo in questione si vede per circa dieci minuti totali, ed è degradato al ruolo di misero schiavo del mafioso di turno. Il vero protagonista sarebbe in teoria Stephen Baldwin, figlio di un sub morto sbranato e destinato a prenderne il posto finendo in mezzo agli intrighi della mafia alla ricerca del tesoro dei Medici; ma la sua risibile interpretazione (vi sfido a trovare una sola scena in cui le sue sopracciglia si muovano) è subito seppellita da quella del grande Giacomo Gonnella, che impersona il boss mafioso Vito Clemenza (Il padrino docet). Va precisato che il film è una produzione bulgaro-statunitense, interpretato da attori bulgari e statunitensi (escluso Gonnella) che hanno una pessima immagine dell’Italia: la polizia è corrotta e impestata con la mafia, i veneziani pensano solo alle gondole e al mandolino, e persino la ricostruzione della città (già, perchè hanno avuto il coraggio di ricostruire Venezia in Bulgaria!) è pessima. Non si osi, però, guardare questo putridume ridoppiato: per capire quali siano i motivi di tanta qualità, è necessario sorbirsi il doppiaggio originale sottotitolato: qui sta la vera forza del film, con attori bulgari che impersonano italiani che parlano inglese. Il risultato è che la lingua italiana si ritrova ridotta ad un miscuglio di inglese maccheronico, dialetti e storpiature indecenti di nomi famosi: leggendarie sono le uscite di Vito Clemenza, di cui riportiamo integralmente qualche assaggio: “i put bambino’s shark into the canal”, “you, puttana, shoot me!”, e la favolosa “Rossi, answer me, vaffanculo! Vincente, Zaneri, go to kill the bastard”, il tutto con una pronuncia da prima elementare che farebbe inorridire la mia vecchia prof di lingue.
Indubbiamente i dialoghi rappresentano la perla del film, accompagnati da una varietà di nomi davvero incredibile (l’ispettore Totti, il commissario Bonasera, la laguna Del Piero tanto per uscire dagli stereotipi); ma anche lo squalo, purtroppo ridotto a semplice macchietta, regala un momento di brivido: a circa un’ora di minutaggio, il bestio decide di attaccare una gondola. Prima vediamo lo squalone in computer grafica (pessima!) azzannare l’imbarcazione, poi è tutto un susseguirsi di inquadrature rubate a documentari assortiti, per concludere con una scena di uno squalo che divora un qualche animale marino, visibilmente ambientata in pieno oceano. Accompagnano il tutto gridolini isterici di vecchie veneziane rincoglionite alle finestre. Anche il personaggio di Baldwin strappa qualche risata nella lunghissima scena dell’inseguimento, dove lui e i mafiosi si combattono usando, nell’ordine: una sedia, una abat-jour, una statua, delle bottiglie, dei tavoli da bar, una motosega, arnesi da officina assortiti e una bella sega circolare, fino alla sequenza nella grotta in cui assistiamo addirittura ad uno scontro in stile Il gladiatore post-moderno degno del peggior Fulci!
Segnaliamo, per concludere, alcuni clamorosi errori: innanzitutto nei canali di Venezia l’acqua è profonda pochissimi metri, e dunque tutte quelle scene subacquee sono girate a caso e appiccicate per allungare il minutaggio; in secondo luogo, chiunque abbia visitato almeno una volta la splendida città lagunare sa bene che le sue acque sono luride e schifose, e per nulla limpide come ci vengono mostrate per un’ora e mezza!

Produzione: USA-Bulgaria (2008)
Punto di forza: godetevi il doppiaggio originale! Una tortura per le orecchie!
Punto debole: il film perde molta della sua forza ridoppiato. E comunque, ci sono molte scene-riempitivo tra Baldwin e la fidanzata che potevano esserci evitate.
Come trovarlo: si trova facilmente su Internet.
Da guardare: in compagnia, assolutamente! Se avete amici veneziani, mostrategli questa roba: rimarranno esterrefatti!

Un piccolo assaggio: http://www.youtube.com/watch?v=n6shpUQWTu0 (una bella recensione del collega Karinzio!)